La nostra Micia era una trovatella, nera, trovata nel giardino di casa il giorno dopo che mia moglie Marisa aveva detto “se capitasse solo gatti neri”. Doveva essere nata da poco più di un mese, appena svezzata a giudicare dalle difficoltà di mangiare. Venivamo da una brutta esperienza avendo dovuto fare abbattere la gattina (trovatella anche lei) che avevamo perché malata incurabile, ma decidemmo di tenere Micia dopo aver regalato il fratellino che era con lei al momento del ritrovamento.
Quando decidemmo di tenerla Laura frequentava l’asilo, se n’è andata che nostra figlia era laureata, più di vent’anni di vita in comune.
Era bello vedere quando educava i suoi piccoli, era una mamma perfetta si capiva quando li sgridava o quando li chiamava perché non si allontanassero.
Due gli episodi che meritano di essere raccontati, e vi dò la mia parola che è tutto vero.
Un giorno i suoi piccoli riuscirono ad uscire di casa e si infilarono nella cantina di un vicino, un uomo che odiava i gatti e che aveva le dato un calcio colpendola all’occhio perché era entrata nel suo box: da quel momento lo riconosceva dal rumore della macchina e dei passi e se ne teneva alla larga, trasmettendo anche l’informazione ai suoi cuccioli. Non riuscendo a far uscire i micini dalla cantina andai a prendere Micia, la portai davanti alla porta della cantina e le dissi “guarda dove sono i tuoi piccoli”: lei li chiamò e loro si avvicinarono e ritornarono in casa. A metà della scala si girò verso di me con un espressione sul muso che diceva “l’ho combinata grossa”, io le dissi “dai, dai, vai di sopra” e lei seguì i suoi cuccioli.
Inverno 1985, quello della grande nevicata preceduta da un periodo di freddo che raggiunse i 15 sottozero. Micia era uscita per un giretto e dopo un po’ mia moglie la sentì mugolare davanti alla porta finestra della cucina; era un verso strano, insolito. Marisa andò a vedere: aveva in bocca uno scricciolo, un piccolo uccellino che ha l’abitudine di rifugiarsi tra le radici degli alberi dove evidentemente il gran freddo l’aveva sopraffatto; lei l’aveva raccolto e portato da noi.
Messo in una scatola, mia moglie disse a Micia “viene andiamo a prendere la gabbia in cantina”: come avesse capito lei la seguì facendo delle rumorosissime fusa, poi dopo aver visto che l’uccellino era al sicuro e che si stava riprendendo rapidamente, ritenendo che la sua missione da crocerossina fosse conclusa se ne andò sul divano a dormire.
Poco dopo lo scricciolo fu rimesso in libertà.
Ti assicuro che non ho esagerato o inventato alcunché.
Luigi Vergani