Comunità Energetiche italiane: è giunto il momento del coraggio di Roberto Napoli

Approvata dall’Europa la bozza del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sulle Comunità Energetiche, importantissime per il futuro dell’Italia. Prendendo ad esempio altre realtà europee, il nostro Paese dovrà fare il massimo per cominciare sul serio, con una visione realmente “future oriented”. Non è il momento della pavidità, anche a costo di dare fastidio alle concessioni esistenti. La forza dell’evoluzione tecnologica farà il resto.

Dopo un anno e mezzo di silenziose trattative è arrivata la prima approvazione europea alla bozza del decreto MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) sulle Comunità Energetiche. A quanto pare, la trattativa non ha riguardato la sostanza dell’impianto normativo, che pure presenta diverse criticità, ma alcuni aspetti applicativi che rischiavano di finire nella categoria degli aiuti di Stato. Mancano adesso alcune procedure (es. approvazione della Corte dei Conti) e poi, fra pochi mesi, il decreto potrà essere promulgato, Per le Comunità Energetiche italiane sul tavolo ci sono in attesa 5,7 miliardi di euro, il che ha fatto venire l’acquolina in bocca a molti. In effetti è una somma di tutto rispetto, che sarebbe un vero peccato sprecare o quanto meno non sfruttare adeguatamente.

La direttiva europea prevede due tipi di Comunità: la Comunità delle Energie Rinnovabili (CER) e la Comunità Energetica dei Cittadini (CEC). La CER fa riferimento alla Direttiva europea 2028/2011 sulla promozione dell’uso delle energie rinnovabili.

La CEC si collega invece alla Direttiva europea 2019/944 sulle norme per il consumo interno dell’elettricità. In pratica la CEC è una sorta di versione estesa della CER, in quanto ha un approccio multienergetico (energia elettrica, termica, idrica, etc..) e include aspetti riguardanti l’efficientamento energetico.

La CEC dei cittadini non ha ancora trovato diritto di cittadinanza in Italia. La CER italiana delle rinnovabili è invece in fase di lancio ed è un tassello importantissimo della transizione energetica italiana.

Ci sono però aspetti della normativa che limitano molto le possibilità di queste CER di diventare veri soggetti attivi ed economicamente solidi. C’è quindi qualche rischio che un certo numero di queste Comunità venga etichettato come Comunità Energetica Eunuca.

Proviamo ad inquadrare alcuni aspetti critici importanti. È fuori discussione l’importanza di sostituire buona parte delle energie fossili con fonti rinnovabili per una transizione energetica conveniente e sostenibile. È anche fuori discussione che questa rivoluzione energetica debba avvenire dal basso, coinvolgendo gli utenti finali, che devono diventare protagonisti attivi e responsabili nell’uso dell’energia. Senza i soldi degli utenti e senza i cambiamenti nel loro uso dell’energia non si va lontano.

Indubbiamente le Comunità energetiche possono cambiare il profilo energetico del Paese, a vantaggio di una minore dipendenza dall’estero e di una migliore qualità dell’aria. Favorire le Comunità Energetiche dovrebbe perciò essere considerata una priorità nazionale: non una delle tante priorità, ma la priorità da mettere al primo posto, per i suoi riflessi che ha sulla sostenibilità, resilienza e indipendenza energetica del Paese.

Una Comunità Energetica Rinnovabile CER viene definita come un insieme di clienti finali che localmente si aggregano attraverso una di possibili diverse forme giuridiche per generare benefici ambientali, sociali ed economici, derivanti in primis dalla installazione di impianti a fonte rinnovabile e poi dalla condivisione dell’energia elettrica prodotta tramite modifiche dei profili di consumo.

All’interno di una CER si distinguono sostanzialmente membri che semplicemente consumano energia elettrica (consumatori), membri che soltanto producono energia elettrica (produttori) e membri che producono e consumano essi stessi energia elettrica (prosumatori).

Una particolare variante di Comunità Energetica è costituita dai Gruppi di Autoconsumo Collettivo (GAC), costituita da membri che appartengono allo stesso edificio o condominio. Ci sono alcuni vincoli strutturali, abbastanza laschi: i membri di una Comunità Energetica devono prelevare energia elettrica dalla stessa cabina primaria AT/MT. Le CER non devono avere come attività primaria il commercio di energia elettrica, ma il perseguimento di obiettivi sociali e ambientali.

Come al solito, il normatore italiano ha messo in piedi una normativa complessa di centinaia di pagine criptiche. Quando finisci di leggerla, digerendo uno stile involuto nella solita tradizione burocratica italiana, sono più le domande che ti frullano per la testa che non le risposte che cerchi. C’è quindi un enorme fiorire di seminari e incontri per cercare di capire non tanto i risvolti sociali e ambientali ma gli aspetti economici: quanto costano, in quanto tempo ritornano gli investimenti e quanto si può guadagnare. Poi magari puoi anche imbatterti in qualche funzionario birichino, che, per approvare il piano industriale di una CER, chiede: come sono stati calcolati i benefici sociali e ambientali? Inutile cercare la risposta nella norma.

Per incentivare le Comunità Energetiche il normatore italiano ha previsto interventi, che a volte (se non spessissimo) sembrano ossessionati non tanto dall’intento di realizzare vere Comunità Energetiche, a beneficio degli utenti e del Paese, ma di bloccare quanto più possibile lo status quo del mercato elettrico.

L’Unione Europea ci costringe ad agire con una visione proiettata verso il futuro, che tiene conto dei diritti degli utenti (New Deal) e dell’evoluzione tecnologica in atto. L’Italia sembra preferire lo sguardo rivolto al passato, con la solita tendenza a fare quanto meno possibile il più tardi possibile. Manca una visione chiara e chiaramente esplicitata di dove si vuole andare a finire, di quale sia il punto d’arrivo delle Comunità Energetiche nell’infrastruttura del futuro.

Consideriamo gli interventi economici e strutturali attualmente previsti in questa transizione italiana verso le CER.

Il primo intervento si propone di favorire l’installazione di fonti rinnovabili. Il normatore prevede quindi che il prosumatore che compra e fa installare una rinnovabile abbia la garanzia che l’energia prodotta e da lui non autoconsumata (ossia la produzione netta immessa in rete) sia acquistata dal GSE (Gestore del Sistema Elettrico) al prezzo fissato dal normatore. Oltre a vendere l’energia netta immessa in rete, il prosumatore ha anche il vantaggio di vedere ridotta la sua bolletta, perché la quota di energia da lui autoconsumata localmente ovviamente non compare in bolletta. Sono anche previsti recuperi fiscali.

Il secondo intervento si propone di favorire il cosiddetto autoconsumo collettivo, ossia lo spostamento dei consumi elettrici dei membri nei periodi in cui non sia nulla la produzione netta immessa in rete dai prosumatori. Il premio consiste in una somma che il GSE deve versare alla Comunità Energetica in base all’energia condivisa, definita su base oraria come il minimo fra l’energia consumata dai membri e l’energia netta immessa in rete dai prosumatori della Comunità. Il premio è ovviamente nullo quando non c’è produzione netta immessa in rete o quando i membri consumano quando non c’è produzione netta.

Se in una certa ora i membri consumano meno dell’energia immessa in rete da prosumatori, il premio è limitato all’energia consumata. Se consumano di più, il premio è limitato all’energia netta immessa in rete. Ogni mese (più credibilmente ogni diversi mesi) il GSE conteggia poi periodicamente l’energia condivisa nelle varie ore e versa al Responsabile della Comunità il conseguente premio totale, da suddividere fra tutti i membri della Comunità, sulla base di patti privati liberamente sottoscritti all’atto della fondazione della Comunità.

Questi premi sono esenti da conseguenze fiscali. C’è un terzo intervento, che riguarda un piccolo premio riconosciuto alla Comunità come compenso per tener conto che l’autoconsumo collettivo fornisce al distributore dei vantaggi per la minore circolazione in rete di flussi energetici (es. riduzione delle perdite). Si tratta però di un incentivo poco significativo dal punto di vista economico e quindi possiamo qui trascurarlo.

Il quarto intervento riguarda finanziamenti a fondo perduto, per la costruzione di impianti nei comuni con meno di 5000 abitanti. Dei 5,7 miliardi di euro di finanziamenti previsti, 3,5 relativi ai primi tre interventi arriveranno dalle bollette  elettriche, per 20 anni, mentre 2,2 relativi al quarto intervento verranno presi dai fondi del PNRR.

Per capire bene il contesto in cui si situano le Comunità conviene avere presente una semplice legge economica, intuita quando si avviò negli USA lo smembramento della compagnia telefonica AT&T e successivamente verificata in molteplici occasioni. Se c’è un mercato a monte che ha dei prezzi regolati soggetti a price cap e questo mercato alimenta un mercato a valle privo di adeguata protezione, inevitabilmente gli operatori del mercato a monte faranno il possibile e l’impossibile per presidiare il mercato a valle, impedendo ogni innovazione che non sia a loro vantaggio o che possa fare nascere a valle dei possibili concorrenti. Nel nostro caso il mercato a monte è costituito dai venditori e distributori di energia elettrica, mentre il mercato a valle è costituito dagli utenti finali.

Con questa premessa la normativa messa in piedi sulle CER costituisce un esempio pressoché perfetto della legge citata. Si è introdotta la “genialata” dell’autoconsumo virtuale, per cui si congela tutto il sistema elettrico distributivo e tutto il paradigma corrente di mercato, in modo da essere certi che le CER non diventino membri attivi del mercato elettrico e che quindi in qualche modo possano trasformarsi in concorrenti degli attori del mercato a monte. L’idea italica è che sì, certo, bisogna favorire le rinnovabili e bisogna dare attuazione alle norme europee, ma che ciò non diventi occasione per mettere in discussione gli equilibri di potere del mercato elettrico.

Tradotto in termini terra terra, significa che il paradigma funzionale della rete elettrica e il mercato elettrico non cambiano. Le linee sino ai contatori e i contatori all’interno della Comunità Energetica rimangono in carico ai distributori attuali. Anche le bollette ai membri delle CER rimangono invariate, salvo la riduzione in bolletta ai prosumatori per l’energia da loro stessi autoconsumata. Rimaniamo quindi nella solita ottica dei bonus, in questo caso molto scaglionati nel tempo.

È una soluzione che ha i suoi vantaggi nel breve periodo e sembra mediaticamente attraente. Il profumo di soldi in arrivo è stimolante. Come infrastruttura di rete non devi cambiare niente. I membri che aderiscono a una CER o a una GAC non devono fare nulla, salvo eventualmente contribuire all’acquisto dei generatori rinnovabili. Ovviamente bisogna fare bene i conti per capire in quanto tempo si rientra dell’investimento.

Proviamo adesso a riflettere su alcuni aspetti critici. Dal punto di vista del GSE, l’acquisto dell’energia netta immessa in rete dai prosumatori è certamente un bell’affare. Infatti, secondo la norma, il GSE acquista dai prosumatori l’energia netta immessa in rete ad un prezzo che è più o meno la metà del prezzo che nello stesso istante viene praticato per la vendita agli altri membri della Comunità e a tutti gli utenti. Tutto ciò senza colpo ferire, non dovendosi procedere a nessun cambiamento rispetto alla situazione corrente.

Che questo sia un trattamento equo degli utenti, in linea con le direttive europee, appare alquanto strambo. In teoria la Comunità dovrebbe potere vendere anche ad altri l’energia prodotta, ma è solo una previsione teorica. Sarebbe senz’altro più equo acquistare quest’energia ai prezzi veri di mercato, senza eccessive creste fuori posto. Per quanto poi riguarda i premi, il meccanismo di incentivazione dei membri a spostare i consumi nelle ore di produzione è tutt’altro che incisivo. Il GSE è tenuto a trasmettere alla CER i conteggi totali sull’energia condivisa e il conseguente premio complessivo. La norma però si guarda bene dall’imporre al GSE tempistiche o obblighi di comunicare alla CER i conteggi relativi ai singoli membri. Quindi è solo il buon cuore del GSE che dovrebbe portarlo a mettere in piedi le procedure per dare alla Comunità gli elementi per potere capire in tempi ragionevoli quali membri hanno spostato i consumi e quali no.

Non esiste nessun obbligo e nessun incentivo che spinga il GSE verso questo buon cuore. Paradossalmente se gli utenti non spostano i loro consumi verso le ore di produzione dei prosumatori, nessuno ha motivo di agitarsi, tranne i membri delle CER. Infatti, se questo spostamento di consumi non avviene o avviene in maniera ridotta, il GSE semplicemente risparmia sui premi (anche se non sono soldi suoi). Assicurare un servizio di pronta acquisizione e trasmissione dei dati dei singoli membri ha costi non coperti da nessuno. Sinché la norma tace, per il GSE quindi tanto vale fare il minimo indispensabile, dando solo i bilanci totali dell’energia condivisa.

Per potere funzionare adeguatamente le Comunità devono allora farsi parte diligente. Oltre ad adempiere a tutti gli obblighi fiscali e giuridici, dovrebbero quindi investire nel dotarsi di una piattaforma informatica e di controllo non solo per spingere i consumi nelle ore opportune (cosa che può essere fatta convenientemente solo con controlli automatici) ma anche per sfruttare le opportunità di mercato (al momento totalmente bloccate).

Per fare stare in piedi una Comunità Energetica è essenziale un progetto ben fatto, che tenga accuratamente conto dei prevedibili profili di carico e di produzione. Esiste poi un fattore di dimensionalità: per le Comunità Energetiche piccoline, sarà molto difficile fare tornare i conti.

Gli incentivi sono previsti per venti anni. È un tempo smisurato, se si pensa a tutti gli sconvolgimenti che ci aspettano nel panorama energetico futuro. Ed è assurdo pensare (o sperare) che per tutto questo tempo rimangano inalterati gli spazi d’azione dei distributori e venditori attuali, castrando le CER con l’inibizione di una vera partecipazione al mercato elettrico. Queste difese ad oltranza delle concessioni esistenti non hanno futuro. Prima o poi sono destinate a crollare. Ma c’è ancora un altro aspetto molto importante. Accanto al mercato dell’energia elettrica venduta/acquistata c’è, molto più ampio e remunerativo, il mercato dei cosiddetti “servizi ancillari”.

Le Comunità energetiche potrebbero offrire servizi molto utili ed economicamente importanti quali la capacità, la regolazione di frequenza e tensione, la flessibilità della domanda, la resilienza, etc… Questi servizi, di grande valore economico, richiedono che la Comunità si dotino di una infrastruttura hardware e software per dialogare con il mondo esterno e con i vari sensori, con cicli di trasmissione ed elaborazione dei dati dell’ordine di secondi o al massimo minuti, per capire cosa sta succedendo e per rispondere con adeguati algoritmi previsionali e di controllo.

Si richiedono quindi Comunità Energetiche vere, in grado di ottimizzare le risorse con pieno controllo della rete interna, dei contatori e delle utenze. Per offrire questi servizi occorre raggiungere la dimensione minima necessaria. Inevitabilmente le Comunità Energetiche dovranno federarsi in Iper-Comunità, a quel punto in grado di operare a pieno titolo ed efficacemente sui vari mercati elettrici.

La vera carta da giocare per le Comunità, quindi, non sta solo nei servizi base di vendita/acquisto d’energia, ma soprattutto nei servizi ancillari. Ed è solo aprendo il varco a queste vere CER che si potrà pensare di adeguare l’infrastruttura elettrica alle nuove sfide e alle nuove opportunità. Ci vorrà tempo, ma la strada è obbligata.

Anche in questo caso le direttive europee dettano la linea. Ed anche in questo caso il normatore italiano alza le barricate. È stata approvata una delibera per la realizzazione del primo esperimento pilota per i servizi ancillari (delibera Arera 365/2023). Puntualmente spunta un’altra geniale introduzione delle nuove UVA (Unità Virtuali Abilitanti) L’esperimento è affidato ovviamente non a una Comunità Energetica, ma a un distributore elettrico.

È interessante riflettere su quanto succede attorno a noi, in altri Paesi. Prendiamo la Svizzera. La legge federale sull’Energia (LEne), in vigore dal 2018 prevede (art. 18 – Rapporto con il gestore di rete e altri dettagli):

Dopo il raggruppamento i consumatori finali dispongono congiuntamente, nei confronti del gestore di rete, di un punto di misurazione unico come un consumatore finale. Essi devono essere trattati come un consumatore finale unico, anche per quanto concerne il dispositivo di misurazione, la misurazione o il diritto di accesso alla rete secondo gli articoli 6 e 13 LAEIS.

Il pragmatismo svizzero è sempre esemplare. Poche parole e si capisce subito che è stata realizzata la cosa più logica, con l’autoconsumo fisico. Ciò che viene prodotto dalla Comunità svizzera può essere liberamente consumato dai suoi membri, senza balzelli e senza furbizie. La convenienza economica della Comunità diventa chiara e non ha bisogno di complicati sussidi.

Nella Spagna, molto più avanti di noi, abbondano gli incentivi fiscali e tariffari per sostenere la creazione delle Comunità Energetiche. Si discute sulle modalità contrattuali con le quali le CER possono acquistare dai distributori i contatori e la rete interna. Per noi, quasi una bestemmia.

In Germania le CER sono attive in tutti i settori della produzione, del consumo e dello scambio dell’energia rinnovabile. La maggior parte delle comunità energetiche tedesche è costituita da cittadini privati, ma ci sono anche molte comunità energetiche costituite da imprese, enti pubblici e combinazioni varie. La legge tedesca sulle Comunità Energetiche (Erneuerbare-Energien-Gesetz, EEG) prevede per ogni comunità un’unica connessione alla rete elettrica. Mentre noi balbettiamo sulle norme, la Germania, che non è certamente un Paese più soleggiato del nostro, ha già quasi 5000 Comunità attive e prevede il raddoppio nei prossimi anni.

L’Australia è già arrivata a sostenere per diversi giorni i consumi elettrici con le sole rinnovabili. Decisamente istruttiva è la situazione americana. Il Governo ha emesso un ordine federale (FERC Order 2222), che obbliga il sistema elettrico a rimuovere ogni barriera all’ingresso delle rinnovabili e alla loro attività nel mercato elettrico. La FERC riguarda raggruppamenti di qualunque tipo e dimensione (da grandi Comunità al singolo tetto fotovoltaico). La visione americana, chiarissimamente esplicitata, è che non ci devono essere barriere alla libertà e all’innovazione, perché solo così si realizza sul serio una vera transizione energetica. Il successo della disposizione (nonostante i previsti mugugni degli stakeholders) è stato tale che le domande di collegamento sono state migliaia.

Il Governo Federale ha quindi dovuto emettere un altro ordine federale FERC per prevedere robuste penalizzazioni economiche sia per chi non evade le domande entro due mesi e sia per chi presenta domande non adeguatamente compilate.

La società americana ha capito molto bene le lezioni del passato ed agisce con il solito pragmatismo. È utile guardare come esempio ciò che è successo nelle comunicazioni. Il cellulare ha cambiato le nostre abitudini di vita. Il cambiamento non è avvenuto grazie a una compagnia telefonica, ma grazie alla combinazione di un imprenditore geniale, di norme aperte e di disponibilità di investimenti.

Queste combinazioni consentono poi di mettere a frutto l’intelligenza e l’inventiva di milioni di persone per realizzare nuove applicazioni. La stessa cosa dovrà succedere (e succederà) nel mondo dell’energia. È imprescindibile aprire all’innovazione, con fiducia e senza paura. E non dobbiamo essere proprio noi italiani a rimanere indietro, chiusi in difese corporative.

Nel nostro Paese, per la politica scalfire posizioni consolidate di gruppi potenti ha molto di temerario. Non è però necessario esibire il coraggio tutto in una volta. Si può anche procedere a piccole rate. Proviamo perciò a impostare qualche riflessione che potrebbe essere facilmente tradotta in atti concreti.

Per coinvolgere gli utenti, bisogna anzitutto renderli consapevoli. Il singolo utente deve essere messo in condizione di sapere quanto gli è costato l’altro ieri accendere la lavastoviglie a mezzogiorno e quanto invece gli è costato ieri accendendola in tarda serata. Bisogna rendere disponibili in linea i costi progressivi, non in kWh, ma in euro. Né i distributori né i venditori possono avere interesse a rendere edotti i loro clienti, anche perché potrebbero così diminuire i flussi energetici che stanno alla base dei loro profitti.

A intervenire può essere solo la politica, imponendo che chi vuole agire sul mercato deve organizzarsi per consentire a ogni suo cliente di capire in linea via via quanto sta spendendo, in euro non in kWh. Con l’attuale tecnologia, ci vuole proprio poco a emanare una simile norma. Le conseguenze reattive nei clienti sarebbero enormi!

Accanto al geniale autoconsumo virtuale, si può prevedere l’installazione (e magari un adeguato finanziamento) per qualche Comunità Energetica che voglia praticare l’autoconsumo fisico, consumando all’interno l’energia prodotta senza altre alchimie, ovviamente dando qualche compensazione ai distributori per compensare la riduzione delle spese per gli oneri di sistema e per non spaventare troppo.

Si romperebbe un tabù e si innescherebbero veri cambiamenti.
Quanto all’accesso ai servizi ancillari, anche in questo caso non ha senso l’ostracismo verso le CER. Anzi bisognerebbe promuovere e finanziare qualche esperimento. Sarebbe infine opportuno stabilire con apposita norma quali dati il GSE deve comunicare alle CER e con quali tempistiche.

Un ultimo appello. Quando si leggono le normative di altri Paesi, si rimane affascinati dalla chiarezza e immalinconiti dal confronto. Arrivati alla fine di un documento straniero, si ha la sensazione di averne capito buona parte. Nel caso italiano, le normative sono sempre molto ostiche e appesantite.

Abbondano i richiami al comma X della legge Y per come modificato del comma W della Legge Z e via dicendo, in un crescendo rossiniano. Nella normativa straniera ciò non succede. Se c’è un richiamo, viene scritto in calce.

Nella nostra normativa, quando hai finito di leggere, devi cominciare a sbattere la testa a destra e sinistra per trovare risposta a tutte le domande sollevate dalla normativa ed alle quali la normativa non fornisce risposte. Possibile che non si possa fare nulla?

Il decreto del MASE deve ancora compiere qualche passo prima di diventare operativo. Non c’è da esserne particolarmente orgogliosi. Probabilmente, finita l’euforia dei soldi in arrivo, diverse Comunità stenteranno a decollare e altre stenteranno a sopravvivere. C’è però sempre un primo passo. Quello che stiamo per compiere non è particolarmente coraggioso, ma almeno si fa qualcosa. La tradizione elettrica italiana meriterebbe molto di più, ma è meglio di niente. Le CER sono troppo importanti per il futuro del Paese.

Dovremmo cercare tutti di fare il massimo possibile per cominciare sul serio, con una visione orientata al futuro. Non è il momento della pavidità, anche a costo di dare fastidio alle concessioni esistenti. È il momento del coraggio. La forza dell’evoluzione tecnologica farà il resto.

 

Avv. Alessandro Re

E-mail: re.avvocato@gmail.com

Tel.: 011 544370

Piazza XVIII Dicembre, 5 – 10122 Torino

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